Dolore sotto il tallone: potrebbe essere fascite plantare?


Alcune persone soffrono per mesi di un dolore forte al tallone che però non sempre è presente. Ma quando compare è impossibile stare in piedi: indossare le scarpe e fare anche un solo passo può dare la sensazione di avere un chiodo sotto al calcagno.

Ne parliamo con il dottor Domenico Graziano, chirurgo del piede e della caviglia di Clinica Sedes Sapientiae.

Cos’è la fascite plantare?

La fascite plantare è una patologia molto frequente, che causa innumerevoli visite dallo specialista del piede. Si tratta di un’infiammazione della fascia plantare, ovvero di quella “fascia aponeurotica” che si trova al di sotto del piede e lo attraversa longitudinalmente.

La fascia plantare può essere rappresentata come un ventaglio, con la parte a raggiera (il ventaglio) che si inserisce fin sotto le teste metatarsali e le dita stesse del piede, mentre posteriormente si inserisce (con il manico del ventaglio) nel calcagno.

Ha la funzione di ammortizzare il peso corporeo durante ogni tipo di passo, dalla camminata al salto. Sottoposta a uno stress eccessivo questa fascia può infiammarsi, sviluppando quella patologia chiamata fascite plantare, di cui la spina calcaneare è il risultato.

La presenza di infiammazione può essere asintomatica, cioè senza sintomi, ma quando la soglia di infiammazione diventa cronica, in genere determina la precipitazione dei sali di calcio, comunemente presenti nel sangue, e si assiste, in tal modo, alla calcificazione dell’inserzione della fascia plantare a livello inserzionale. Questa particolare condizione è nota come spina calcaneare, ma non si tratta di una patologia a sé stante, bensì è il risultato di una fascite plantare cronica.

Quali sono le cause e i sintomi?

Quando si infiamma la fascia plantare, il sintomo caratteristico è il dolore, che può essere acuto al risveglio, poi diminuire facendo alcuni passi e riacutizzarsi dopo essere stati a lungo seduti. Tra i vari fattori che possono dare origine alla fascite e alla tallodinia, cioè al dolore al calcagno, troviamo l’abitudine a indossare alcuni tipi di scarpe che mettono sotto eccessivo stress il tallone e la fascia del piede. Molto spesso ne soffrono gli sportivi a causa del sovraccarico dovuto a certi sport come la corsa, ad esempio, ma anche le persone con piede cavo, quelle in sovrappeso/obesi, le donne in gravidanza. Nelle persone con il piede cavo, il microtraumatismo che si produce a causa della conformazione del piede, a lungo andare, mette a dura prova la fascia plantare che si infiamma. Altre condizioni possono scatenare una fascite plantare: tra queste gli esiti di osteocondriti giovanili, la malattia di Haglund, caratterizzata dalla comparsa di una protuberanza ossea sul retro del tallone, e la malattia di Sever che provoca un processo infiammatorio causato da continue e intense sollecitazioni del tendine di Achille sul calcagno.

Come si cura la fascite plantare?

Fondamentale è la diagnosi corretta, che si ottiene con la visita ortopedica del piede, la radiografia del calcagno, l’ecografia o la risonanza magnetica. La terapia della fascite plantare deve essere personalizzata e non può prescindere dal concetto di continuità terapeutica, ovvero viene proposta una terapia che prevede vari gradi di intervento:

  • il primo step consiste nel consigliare scarpe e ciabatte con tacco da usare anche in casa, per detendere il tendine, e l’uso di presidi ortopedici come conchiglie ammortizzanti sportive, anche nei pazienti con evidente piede cavo/pronazione, e solette di compenso del mesopiede;
  • il secondo step, contestualmente ai presidi ortopedici, prevede fisioterapia con ultrasuoni, e laser terapia sui trigger points, ovvero sui punti in cui è presente il dolore. In caso di insuccesso terapeutico, si può proporre un ciclo di infiltrazioni cortisoniche e/o con acido ialuronico;
  • il terzo step prevede terapia con onde d’urto. Si tratta di uno strumento terapeutico introdotto nel protocollo terapeutico della fascite plantare dalla FDA, ma solo per quelle fasciti caratterizzate da una microcalcificazione diffusa lungo la fascia plantare verificata da esami diagnostici.

Solo in caso di recidiva o se le terapie conservative non sono state sufficienti può essere necessario il trattamento chirurgico di fasciotomia plantare (taglio della corda ipertesa dell’arco plantare).