
Viviamo in un’epoca in cui perfino il nostro stomaco sembra aver perso il senso del tempo. Ceniamo tardi, dormiamo poco, lavoriamo fino a notte fonda. Le nostre giornate si dilatano oltre misura, illuminate da schermi a luce blu che ci tengono svegli e confondono il nostro orologio biologico. Immersi in una luce che non conosce tramonto, finiamo per dimenticare che anche il corpo, come la mente, ha bisogno di buio e riposo. Così, giorno dopo giorno, finiamo per sentirci “bruciare” dentro.
Il reflusso gastroesofageo non è soltanto un disturbo digestivo: è il segnale di un corpo che ha smarrito i suoi ritmi naturali. Mentre la luce blu inibisce la produzione di melatonina e lo stress mantiene costantemente alto il livello di cortisolo, lo stomaco resta attivo quando dovrebbe riposare. L’acido gastrico, fedele al suo ciclo, si ribella e il risultato è un apparato digerente in perenne jet-lag, disorientato da abitudini irregolari, pasti tardivi e notti digitali.
Ma come capire se anche noi siamo intrappolati in questo squilibrio moderno? E soprattutto, a chi rivolgerci per ritrovare l’armonia perduta? Al gastroenterologo, custode dell’equilibrio digestivo, o all’otorinolaringoiatra, attento interprete dei segnali che arrivano dalla gola e dalla voce? Sempre più spesso, la risposta risiede nella collaborazione tra queste due figure, in un percorso diagnostico condiviso che guarda al corpo nella sua interezza.
Ascoltare i segnali del corpo
«Oggi la malattia da reflusso gastroesofageo non è più considerata un semplice problema digestivo», spiega il dottor Matteo Giuseppe Goss, gastroenterologo e chirurgo endoscopista di Clinica Sedes Sapientiae «È una condizione complessa e multidisciplinare, che richiede la collaborazione tra diverse figure: il gastroenterologo, certo, ma anche l’otorinolaringoiatra, l’allergologo e il nutrizionista. Solo attraverso questo approccio integrato possiamo comprendere appieno il disturbo e costruire una terapia davvero su misura per il paziente».
Il reflusso che merita attenzione, infatti, non è soltanto quello che provoca la classica sensazione di acidità o bruciore di stomaco. Esiste una forma più subdola e meno evidente, che si manifesta con bruciore retrosternale intenso – talvolta accompagnato da dolore toracico – tanto da far temere, in alcuni casi, un problema di natura cardiaca. Anche tosse persistente, senso di costrizione alla gola o difficoltà respiratorie possono essere segnali di un rigurgito acido che irrita le vie aeree.
Un altro campanello d’allarme è rappresentato dalla disfonia, ovvero il cambiamento del timbro o della qualità della voce. Un sintomo particolarmente rilevante per chi la utilizza come strumento di lavoro, come insegnanti, cantanti, conferenzieri e traduttori, ma che non dovrebbe mai essere trascurato da nessuno. «Anche un semplice “grattino” in gola o una tosse ricorrente possono essere manifestazioni del reflusso», sottolinea Goss. «Riconoscerle per tempo permette di intervenire prima che il disturbo si cronicizzi».
I segnali più gravi – i cosiddetti red flags – comprendono invece difficoltà a deglutire (disfagia), sensazione di blocco del cibo, perdita di peso significativa e vomito con tracce di sangue. «La comparsa di uno o più di questi sintomi richiede un controllo medico tempestivo», avverte Goss. «È fondamentale considerare anche l’età, la familiarità e i fattori di rischio come fumo, consumo di alcol e abitudini alimentari scorrette. Solo un inquadramento completo permette di capire l’origine del problema e affrontarlo nel modo più efficace».
Da chi iniziare: il percorso multidisciplinare
Quando compaiono i primi disturbi, la domanda è sempre la stessa: a chi rivolgerci per primo? «Se il sintomo principale è il dolore toracico, il primo passo – dopo aver consultato il Medico di medicina generale – deve essere una visita cardiologica», chiarisce Goss. «È fondamentale escludere qualsiasi patologia del cuore prima di pensare al reflusso».
Solo dopo aver messo in sicurezza il versante cardiaco, il punto di riferimento diventa il gastroenterologo, che ha il compito di coordinare l’intero percorso diagnostico e valutare se sia necessario coinvolgere altri specialisti. «La scelta dipende molto dalla natura dei sintomi e da come il paziente risponde alle prime terapie», aggiunge l’esperto.
Il reflusso, infatti, non sempre si lascia domare dai farmaci. In alcuni casi, la causa è più profonda e coinvolge l’asse cervello-intestino, quel delicato sistema di comunicazione che lega emozioni, stress e apparato digerente. «Oggi sappiamo che ansia, tensione e ritmi di vita frenetici possono interferire con i meccanismi di guarigione», sottolinea Goss.
Per questo motivo, la terapia del reflusso non può limitarsi a spegnere il sintomo fisico: deve includere anche la gestione dello stress, la correzione delle abitudini alimentari e un ripristino dei ritmi biologici. È un percorso che unisce competenze mediche e consapevolezza personale, in cui la guarigione passa non solo attraverso i farmaci, ma anche attraverso un nuovo equilibrio tra corpo e mente.
Il percorso gastroenterologico: esami e valutazioni
Il primo passo dal gastroenterologo è sempre l’anamnesi: un momento di ascolto e di analisi che consente di orientare il paziente verso gli esami più appropriati. Non esistono protocolli standard validi per tutti, ma percorsi personalizzati che tengono conto dell’età, dei sintomi e dello stile di vita.
Nei soggetti più giovani, sotto i trent’anni, l’approccio tende a essere conservativo e mirato: si indaga la presenza dell’Helicobacter pylori con un test delle feci, si valutano eventuali intolleranze alimentari e, se necessario, si avvia una terapia farmacologica leggera e di breve durata.
Con l’avanzare dell’età, invece, l’indagine si fa più approfondita. Analisi del sangue, ecografia addominale e gastroscopia diventano strumenti essenziali per individuare gastriti, esofagiti o altre condizioni più complesse. «La gastroscopia è fondamentale per osservare direttamente la mucosa e valutare eventuali segni di infiammazione cronica o danno strutturale», spiega il dottor Goss. «Solo conoscendo la reale estensione del problema possiamo decidere se coinvolgere altri specialisti o approfondire ulteriormente con esami più specifici».
Tecniche di secondo livello, come la pH-metria e la manometria esofagea, consentono di distinguere i diversi tipi di reflusso e valutare eventuali alterazioni della motilità dell’esofago. È da questa precisione diagnostica che nasce la vera personalizzazione terapeutica: una combinazione di modifiche dello stile di vita, correzioni dietetiche, trattamenti farmacologici mirati e, nei casi selezionati, interventi chirurgici di plastica anti-reflusso.
Dal gastroenterologo all’otorino: il passo successivo
Dopo la valutazione del gastroenterologo, entra in scena una figura altrettanto cruciale: l’otorinolaringoiatra, chiamato a completare l’inquadramento diagnostico soprattutto nei pazienti che lamentano tosse persistente, raucedine o alterazioni della voce.
«Se durante la gastroscopia si nota una faringe molto arrossata o se il paziente risponde poco alla terapia, il coinvolgimento dell’otorino diventa fondamentale», evidenzia Goss. «L’otorinolaringoiatra valuta l’impatto del reflusso sulle vie aeree superiori e aiuta a gestire sintomi come bruciore in bocca, mal di gola, tosse cronica o rigurgiti acidi ricorrenti».
È in quel momento che il percorso si allarga e le due specialità si incontrano. «Molti pazienti arrivano da noi raccontando un abbassamento della voce a fasi alterne, una disfonia che va e viene: alcuni giorni la voce è limpida, altri improvvisamente si spegne», interviene il dottor Fabio Arciello, otorinolaringoiatra e chirurgo cervico-facciale. «Spesso riferiscono anche un fastidioso senso di corpo estraneo in gola e la necessità continua di schiarirsi la voce. Non si tratta del classico bruciore di stomaco, ormai sempre più raro a causa dell’automedicazione diffusa, ma di sintomi atipici che coinvolgono l’organo fonatorio, molto più sensibile al contatto con l’acido gastrico».
La laringe, infatti, è una struttura estremamente delicata, non progettata per sopportare l’aggressione acida. Anche piccole quantità di materiale refluito possono provocare infiammazione cronica, con conseguenze come tosse secca, voce roca e quella tipica sensazione di “nodo in gola” che tanti pazienti descrivono.
«Quando sospettiamo un reflusso laringeo, eseguiamo una fibrolaringoscopia: un esame semplice, rapido e ben tollerato che si effettua da svegli, senza anestesia, passando delicatamente dal naso», continua Arciello. «Questo ci consente di osservare direttamente la laringe e l’esofago cervicale, individuando eventuali segni di irritazione. È anche un ottimo strumento di monitoraggio nel tempo, utile per valutare la risposta alla terapia e calibrare gli interventi successivi».
Solo nei casi in cui si rilevino alterazioni strutturali della laringe, come le leucoplachie – trasformazioni dell’epitelio o delle corde vocali causate da insulto cronico, di solito fumo di sigaretta o reflusso molto intenso – può rendersi necessaria una biopsia. Tuttavia, si tratta di situazioni relativamente rare.
Due specialisti, un’unica visione
La vera forza nella gestione del reflusso risiede nella collaborazione multidisciplinare. È qui che gastroenterologo e otorinolaringoiatra diventano i due volti di un’unica visione clinica. «Il follow-up condiviso è fondamentale», sottolinea Arciello. «Il paziente può essere preso in carico da uno dei due specialisti, ma viene poi rivalutato periodicamente dall’altro. Se la laringe risulta ancora infiammata, si interviene per modulare la terapia; se invece il quadro migliora, si valuta insieme una graduale riduzione dei farmaci. È un lavoro a quattro mani, che garantisce continuità, precisione e, soprattutto, ascolto del paziente».
Anche il trattamento, oggi, si muove verso un approccio più sinergico. «Non ci limitiamo più ai soli inibitori di pompa protonica», spiega ancora Arciello. «Abbiniamo spesso gel anti-reflusso che creano una barriera protettiva sulla mucosa laringea, attenuando l’irritazione e favorendo la guarigione. Alcuni di questi prodotti, nati per uso otorinolaringoiatrico, sono ormai ampiamente utilizzati anche dai gastroenterologi: segno di un linguaggio terapeutico comune che unisce le due discipline».
Un approccio condiviso che, come sottolinea e conclude il dottor Goss, permette di affrontare il problema in tutte le sue dimensioni: «Il gastroenterologo individua l’origine del disturbo e ne corregge le cause digestive; l’otorino monitora gli effetti sulle vie respiratorie e sulla voce. Solo la combinazione di queste competenze può restituire al paziente un benessere reale, che non riguarda solo lo stomaco o la gola, ma l’intero equilibrio dell’organismo».
Bibliografia
Italian guidelines for the diagnosis and management of gastro-esophageal reflux disease: Joint consensus from the Italian Societies of: Gastroenterology and Endoscopy (SIGE), Neurogastroenterology and Motility (SINGEM), Hospital Gastroenterologists and Endoscopists (AIGO), Digestive Endoscopy (SIED), and General Medicine (SIMG) Digestive and Liver Disease 57 (2025) 1550–1577
